Su Facebook, dopo le elezioni, si leggevano frasi piene di rancore di chi era certo di vincere e invece ha perso. Ne cito due, particolarmente fastidiose: – A) «scoprire chi ha votato a destra è come scoprire chi ha scoreggiato in ascensore» – B) «Se hai votato Meloni, per favore, toglimi dagli amici. Seriamente». Sono un esempio lampante del modo di pensare spocchioso, settario e autoreferenziale dei “progressisti”. La frase A è un messaggio subdolo da persuasione occulta, mostruositĂ cattolica giunta a noi per via comunista e nazifascista. Il voto è segreto, lo dice la Costituzione, ma a loro, i cabarettisti della politica, basta la battuta. L’immagine usata nel paragone evoca il puzzo, presuppone il dolo clandestino, l’azione un po’ vigliacca ed egoista di chi petta di nascosto. Il lettore ne ride, e nel farlo identifica quel tipo di voto come una cosa schifosa, da non farsi: il giuoco è fatto. La frase B, ancora piĂą antipatica, gronda intolleranza e repulsione verso una parte politica che rappresenta quasi metĂ degli italiani. Togliere l’amicizia su Fb è sempre, nell’intento di chi lo fa, una punizione, un cacciar fuori dalla propria casa virtuale l’indesiderato con la forza, sbattendogli la porta alle spalle. Ma li peggio non è qui: la frase B non recita “ditemi se avete votato Meloni, che vi punisco togliendovi l’amicizia”. I compagni non si vogliono scomodare a chiedere o indagare, non si vogliono sporcare le mani con l’atto violento dell’espulsione, non si vogliono prendere la responsabilitĂ di prendere un amico per l’orecchio e sbatterlo fuori. Semplicemente chi non la pensa come loro deve vergognarsi e andarsene fuori da solo. Come l’autocritica di staliniana memoria.
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