Nel ‘900 si combatterono in Italia tre guerre civili anomale, finanziate da Mosca nell’intento di esportare anche qui la rivoluzione del 1917. La prima fu combattuta nelle strade, nelle fabbriche e nelle campagne durante il famoso “biennio rosso” (1919/20) e favorì, per reazione, l’avvento del fascismo. La seconda fu combattuta fra il 1943 e il 1950 dai partigiani comunisti, che nascosero le armi dopo il 25 aprile e sperarono per anni di poter scatenare con esse la rivoluzione, nonostante Yalta. La terza insanguinò gli anni ’70 e parte degli ’80. Chi in quel periodo scelse la parte ‘sbagliata’, facendo normale attivitĂ politica nel Msi di Almirante, dovette subire la violenza fisica del cosiddetto “antifascismo militante”, e quella morale (ancor peggiore) degli intellettuali conniventi. Quando i tre imputati per il rogo di Primavalle (2 morti) furono assolti in primo grado per mancanza di prove (in appello e in cassazione furono condannati a 16 anni, ma in contumacia: il Soccorso Rosso di Franca Rame li aveva aiutati a scappare all’estero) Alberto Moravia andò a festeggiare a champagne insieme a giornalisti e intellettuali, nella villa di uno di loro a Fregene. Difficile cancellare la vergogna dell’intelleghentzia italiana di allora, raffinata e borghese (quella dei Toni Negri e delle Giulie Crespi) che giocò alla rivoluzione sulla pelle dei ragazzi di destra per poi alzare il tiro su poliziotti, magistrati e giornalisti, su su fino a Moro. Quei rivoluzionari da salotto, troppo vili per usare di persona le armi, usarono la penna, e con quella aizzarono altri ad uccidere, restando nell’ombra. Chi di loro è ancora vivo, adesso dice che “in fondo, furono anni formidabili”. Per loro. L’Italia invece è rovinata.
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