C’è il pepe nero di rimbas e l’insalata takana di Unzen, c’è il pecorino di Farindola e il formaggio di yak dell’altopiano del Tibet, c’è il Moscato d’Asti biologico e c’è lo zafferano coltivato in Afghanistan, quello portato dai nostri alpini di stanza ad Herat, coltivato nelle piantagioni al posto dell’oppio. Il tutto nell’ottica di un cibo “buono, pulito, giusto”, quella che informa lo spirito del “Salone del Gusto”, la manifestazione che oggi al Lingotto inaugura la sua ottava edizione. «Un evento culturale – lo definisce Alessandro Altamura, assessore al Commercio del Comune di Torino – che è andato crescendo sempre di più negli anni e che non avrebbe senso se si svolgesse da un’altra parte, come a Rho, (Fiera di Milano ndr). Qui diventerebbe solo un evento commerciale». Un evento da 9 milioni di euro, quello del Salone torinese, finanziato in parte con contributi pubblici, 1 milione 280 mila euro ripartiti equamente tra Comune e Regione. «Circa il 20% in meno rispetto alla scorsa edizione – spiega Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia – ma una riduzione che abbiamo proposto noi stessi: 20% in meno per il Salone e 10% in meno per Terra Madre (2 milioni e 600 mila i contributi comunali e regionali per la manifestazione che affianca il Salone del Gusto ndr) ». E aggiunge: «Anche se questa volta ce l’abbiamo fatta lo stesso, in futuro, se ci dovessero essere tagli drastici, dovremo riconsiderare la situazione». La visita al Salone del Lingotto quest’anno inizia dal padiglione 5, dove trovano spazio gli stand degli organizzatori, Regione Piemonte, Città di Torino e Slow Food, oltre che dei partner. Cuore della sezione espositiva è invece rappresentato dal grande “mercato” ospitato nei padiglioni 1, 2 e 3, il primo dedicato agli espositori stranieri, gli altri due a quelli italiani, questi ultimi caratterizzati da torrette che indicano l’area geografica di appartenenza dei produttori. E aggirandosi tra le bancarelle di pallets del mercato, si trova davvero cibo per tutti i gusti: dalle birre in versione statunitense della Brewers Association ai Mieli Thun, dalla pasta di Gragnano al gelso del Pamir, dalle patate di Bamberga all’Asti e Moscato d’Asti docg biologici, alle 2000 etichette di vini presenti nell’area Enoteca. I cultori del cibo di Bacco, poi, pagando un extra di 50 euro, 40 per i soci Slow Food, potranno accedere alla Slow Wine- Banca del Vino, un’area interna all’Enoteca, dove avranno diritto alla degustazione di 15 bicchieri pregiati proposti da vignerons internazionali e dove Davide Scabin presenterà le sue provocazioni gastronomiche. Il tour dei sapori prosegue poi all’esterno del terzo padiglione nella piazza delle “Cucine di strada”, quelle che preparano il “finger food”, cibo mangiato con le mani, focacce, piadine, spiedini, take away cinesi, una delle proposte di maggior successo della scorsa edizione. Di cibo invece si discute soltanto nel grande padiglione Oval, dove si tengono i seminari e gli incontri di Terra Madre e dove trovano spazio anche i laboratori e il teatro del gusto. Anche qui, naturalmente, per tutti i gusti.Luigina Moretti