Chi la paragona alla storica lettera pastorale “Camminare insieme” non sbaglia, perché nelle parole scelte da monsignor Cesare Nosiglia nell’affrontare quella che, oggi, nessuno riesce a non chiamare «emergenza» c’è tutta la consapevolezza di dover indicare la strada per risolverla. Torna a parlare di zingari, l’arcivescovo, con tutta l’urgenza che fu di Michele Pellegrino nel richiamare alla Chiesa la Torino operaia del 1971. Lo fa invitando i torinesi ad «adottare» una famiglia rom o sinti, «seguirla» in un percorso di emancipazione dalla devianza e dalla delinquenza.
«Abbiate fiducia», scrive Nosiglia, esortando a «non credere di risolvere i problemi della vita con la violenza o la delinquenza e l’illegalità», ma affermando «la dignità dei vostri popoli, quella che voi difendete con l’onore di una vita buona, rispettosa di voi stessi e degli altri». Certe frontiere, secondo Nosiglia, sono ormai «cadute per sempre» e «non ha senso cercare di confinare i nomadi in un ghetto culturale».