Gli abitanti decimati. Le case devastate, ridotte a scheletri in muratura. Le finestre e gli specchi disintegrati a colpi di mazza, le fotografie strappate, fatti a pezzi pure i pupazzi dei bambini. E poi i letti, i divani, i tavoli e i frigoriferi dati alle fiamme. Il campo nomadi regolare di strada Germagnano, quello costruito dal Comune nel 2004 e costato 2 milioni e 600mila euro, sembra un villaggio dei Balcani dopo la guerra. E la guerra, a sentire i superstiti, c’è stata. Anche qui, in una Torino che in centro accoglie i vertici delle Nazioni Unite e in periferia continua ad ospitare realtĂ che monsignor Cesare Nosiglia, era Natale 2010, definì «da quarto mondo».
Adesso, due anni dopo, la situazione è ancora più grave. E mentre la vicina baraccopoli abusiva visitata allora dal vescovo continua ad espandersi e ad inglobare nuovi problemi, in via Germagnano va in scena uno scontro che per puro caso non ha ancora fatto vittime.
Sullo sfondo, nessun conflitto etnico o religioso. Ma “semplici” questioni di soldi. «Ci chiedono il pizzo – denuncia chi ha avuto la forza di restare e trova il coraggio di parlare – Vengono tutte le settimane da un altro campo, ogni domenica. Entrano con i macchinoni, in tanti. Chiedono 300 euro al mese per chi vuole restare nelle case e se non gli dai i soldi ti picchiano». Per questo, sostengono i “reduci”, gli altri sono scappati. «Fino ad agosto eravamo piĂą di 200, adesso siamo meno di quaranta». Le case – prefabbricati in muratura di cinquanta metri quadri assegnati gratis a chi ha i documenti in regola – sono 30. Ma quelle in cui si può ancora vivere sono meno della metĂ . «Le altre le hanno distrutte loro», dicono nel campo. Gli aguzzini, quelli che arrivano con i macchinoni e chiedono la cagnotta. «Quando una famiglia scappa perchè non vuole o non può piĂą pagare, loro spaccano le case e le bruciano. Distruggono tutto, vogliono farci paura». E ci riescono. «Quando arrivano nascondiamo i bambini sotto i letti, le donne corrono via». Se la vedono gli uomini, con gli estorsori. E chi sgarra viene pestato. Preso a calci, pugni, se non basta a bastonate.
Aggressioni che poi finiscono nei mattinali delle forze dell’ordine come “semplici” risse al campo rom. E che invece – se quello che dicono gli zingari è vero – probabilmente nascondono qualcosa di ben piĂą inquietante.
Qualcuno, forse, starĂ indagando. Ma intanto restano soltanto macerie. Scheletri di case, specchi rotti, fotografie strappate e divani dati alle fiamme. Scene di una guerra che, chiedono i pochi rimasti nel campo, va fermata al piĂą presto.
Stefano Tamagnone – tamagnone@cronacaqui.it
Philippe Versienti