L’hanno minacciata, insultata, hanno tentato addirittura di corromperla per tapparle la bocca. Ma la battaglia dell’onorevole Souad Sbai contro l’estremismo e a favore dei diritti delle donne arabe e musulmane non si ferma. Con l’Acmid, l’associazione delle donne marocchine in Italia che presiede, si costituirà parte civile nel processo contro il killer di Laila e contro il nordafricano di Torino che ad agosto pestò la moglie incinta perché si era tolta il velo per il caldo. «Lo faremo grazie al sostegno dell’avvocato Loredana Gemelli – spiega Sbai -, una dei pochi che ci hanno sostenuto fin dal primo momento, ed è il minimo che possiamo fare. L’estremismo, in tutte le sue forme, va combattutto. E le donne che lo subiscono non possono essere lasciate sole».
Un estremismo che, secondo l’onorevole, sta dietro anche all’omicidio di Laila, barbaramente uccisa dall’uomo che aveva rifiutato. «Il fondamentalismo – precisa la deputata – con la religione musulmana non ha nulla a che fare. Ma questi musulmani “nostrani”, una volta arrivati in Italia, hanno imparato un islam aggressivo, radicale, che non conoscevano e non praticavano prima di partire. Quando a inizio anni Novanta c’è stata un’avanzata dell’estremismo, loro hanno aderito. E noi abbiamo notato un arretramento della comunità, che da integrata, gioiosa e aperta che era è sprofondata in un silenzio assordante e sono aumentate le donne che subiscono violenze». Per questo è nato il centro Acmid donna, ed è stato creato il numero verde “mai più sola” (800911753) per aiutare con operatori che parlano arabo, italiano, francese e i dialetti marocchini chi si trovi in difficoltà e voglia liberarsi». Un numero che, quest’estate, è stato preso d’assalto. «Sono arrivate moltissime chiamate – spiega Sbai – soprattutto dal Nord Italia, moltissime da Torino». Le donne che chiamano chiedono di essere sostenute, liberate da un mondo in cui sono condannate a quella che l’onorevole definisce una «lenta morte». Morte dei diritti, innanzitutto. «Che parte dall’imposizione di regole che l’islam non prevede, come certi divieti di partecipare alle feste o l’imposizione di indossare il velo. E può arrivare al delitto, all’uccisione di chi trasgredisce».
L’elenco delle vittime, del resto, è lunghissimo. «Da Sanaa, decapitata dal padre, a Rachida, massacrata a martellate dal marito. Fino a Laila, passando per l’altra donna araba di Torino pestata a Porto Empedocle perché ha osato togliersi il velo. E’ per loro che continuiamo a lottare. Perchè non siano isolate da vive e non vengano abbandonate da morte».