I primi a varcare il cancello dell’aula bunker delle Vallette sono due pm del pool “criminali tà organizzata”, Roberto Sparagna ed Enrico Arnaldi di Balme, raggiunti poco dopo dalla collega Monica Abbatecola. Magistrati scortati da polizia e carabinieri che presidiano la maxi aula e impediscono l’accesso a chiunque non sia parte dell’udien za, fissata a porte chiuse, davanti al gip Francesca Christillin.
Sono le 8,30 di ieri mattina e l’udienza inizierà un’ora più tardi.
Dopo l’entrata dei magistrati, arrivano alla spicciolata le decine di difensori dei 172 imputati sospettati di appartenere a vario titolo alla ‘ndrangheta calabrese. E dal piazzale dietro il carcere transitano anche gli indagati a piede libero o agli arresti domiciliari, tutti accompagnati dai loro legali. Non ci sono le famiglie, non ci sono i parenti dei detenuti, solo una donna accompagnata dalla figlia chiede di poter vedere anche solo per un attimo l’anziano marito finito nella rete dell’operazione “Minotauro”.
«Non ho mai potuto vederlo – dice – e lui non mi ha mai scritto, perché non sa farlo e io neppure so leggere. Mi ha fatto dire qualcosa dall’avvocato, ma non è come sentirla da lui. Non so più come andare avanti, ci hanno preso tutto, non ho i soldi per pagare l’affit to e per fare la spesa. E poi dicono che siamo dei mafiosi, siamo solo dei poveracci». La figlia la sorregge e cerca di convincerla a tornare a casa, ma lei insiste, si siede sul marciapiede, resterà lì per l’intera mattinata.
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