Una inchiesta si è chiusa, ma un’altra sta appena nascendo. Ed è quella forse più inquietante, perché, come sottolinea il procuratore capo Gian Carlo Caselli, è uno «spaccato inquietante» quello degli intrecci tra mafia e politica.
Ieri mattina, in conferenza stampa, il procuratore capo era ricorso a una metafora pugilistica: «E’ stato un uno-due di speciale incisività ». Soffermandosi sui numeri – il fatto che solo l’elenco dei capi di imputazione occupi 52 pagine, gli uomini e i mezzi impiegati – Caselli ha cercato di dare la dimensione dell’inchi esta. Non distante da lui, d’altra parte, stanno i tre tomi da migliaia di pagine da cui è composta l’ordi nanza. E in mezzo ai brogliacci, alle ore di intercettazioni telefoniche, stanno gli aspetti più spinosi, quelli che documentano i rapporti tra le cosche e i politici. «Nel Dna delle mafie, quindi anche della ‘ndrangheta – dice Caselli – c’è l’obiettivo di allacciare relazioni esterne allo scopo di guadagnare favori, coperture» . Caselli si sfoga: parla di «amorevole intreccio» tra criminalità e il mondo istituzionale, ricorda che a Torino la giustizia ha pagato un duro prezzo con l’omicidio del procuratore Bruno Caccia, nel 1983. «Stupisce e amareggia – dice – che vi siano numerosi a intrattenere rapporti proficui con esponenti mafiosi, in un amorevole intreccio. Ed è una vergogna inaccettabile, secondo chi vi parla, che nella città in cui è stato ucciso Bruno Caccia vi siano persone con ruoli anche istituzionali o di amministratori che mantengono simili rapporti».
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