L’orologio della Sala Rossa non ha ancora battuto mezzogiorno e un quarto. Piero Fassino entra dalla porta che si affaccia sulla Sala Marmi accompagnato da Sergio Chiamparino. Il primo cittadino uscente raggiunge lo scranno al centro dell’aula, si sfila la fascia tricolore e la consegna al suo successore. È lui il nuovo sindaco di Torino, proclamato tra la standing ovation della sua maggioranza, i freddi applausi del Pdl e il silenzio di Lega e Grillini. Poco importa, sembra dire indirettamente Fassino nel suo discorso. Perché la parola d’ordine che ispira le sue prime linee programmatiche è «condivisione », nella certezza che con ieri è iniziato «un nuovo ciclo».
Una comunità di intenti che dovrà andare oltre le divisioni politiche per «promuovere e guidare una nuova fase di crescita per Torino». Che era e rimane la città dell’auto, «sapendo che il settore automobilistico e la Fiat sono tuttora per noi una risorsa», ma che in questi anni ha diversificato la propria identità diventando città della finanza, dei servizi, della cultura. E che oggi deve puntare sul lavoro, sulla coesione sociale, sull’integrazione, sulle donne e sulla conoscenza.
L’articolo di Paolo Varetto ed Enrico Romanetto su CronacaQui in edicola il 31 maggio