Un processo mediatico, una sentenza figlia più dell’emotività piuttosto che delle reali prove d’accusa. È quanto si è sentito, e letto, nei giorni scorsi tra gli “scontenti” della rivoluzionaria sentenza Thyssen, che ha visto condannato per omicidio volontario addirittura l’amministratore delegato della multinazionale. Ma ora gli stessi concetti vengono espressi, rudamente, da uno dei manager finiti alla sbarra, che dice «Non sono un assassino, sono soltanto vittima di un enorme errore giudiziario, di un processo mediatico, piuttosto che di un processo giusto, che non ha minimamente preso in considerazione le tantissime ragioni e prove a discolpa portate dalla difesa».
Marco Pucci, consigliere delegato della Thyssenkrupp Acciai speciali Terni per il settore commerciale e marketing, condannato a 13 anni e mezzo di reclusione per il rogo di Torino, lo scrive in una lettera aperta inviata direttamente a giornali e organi di informazione. «Sono un assassino e non sapevo di esserlo» è il suo esordio. Pucci si dice «assolutamente fiducioso», vuole esserlo, che la sentenza «verrà ribaltata» in appello.
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